Il lavoro della fonderia

Il lavoro della fonderia

I due rilievi, che misurano m. 1,80 x 4,50 cadauno, furono commissionati ad Annibale Lanfranchi nel 1954 dall’imprenditore Renato Bialetti; i “bronzi” furono realizzati nel 1955 e apposti l’anno successivo presso l’ufficio dell’illuminato imprenditore nella sede del nuovo stabilimento Bialetti di Omegna. Erano quelli i primi anni di successo della caffettiera Moka Express e Paul Campani disegnava il celebre Omino coi baffi, divenuto il logo aziendale.

Nel rilievo a sinistra è presente un potente messaggio di pace: un cannone viene fuso per produrre una campana, a sottolineare l’interpretazione dell’opera umana come portatrice di salvezza e benessere. Il terzo oggetto presente nell’opera, l’àncora (unico dei tre manufatti davvero realizzato a Omegna dalla Metallurgica Cobianchi), sembra suggerire e rafforzare il messaggio: lavoro, progresso e ingegno umano sono gli strumenti di salvezza e sicurezza per la comunità.

Sul rilievo di destra, invece, sono rappresentati i passaggi essenziali delle lavorazioni di fonderia: il forno di fusione, la secchia di colata del metallo liquido, l’estrazione dei lingotti dagli stampi.

Come riporta la perizia del Prof. Marco di Mauro (2021), “stilisticamente, i rilievi mostrano un linguaggio robusto, monumentale, che esprime bene la forza e la dignità degli operai. Una dignità che si lega al lavoro e, conseguentemente, al ruolo centrale dell’operaio nella vita e nell’economia della comunità. Lanfranchi rinuncia alladefinizione dei particolari per focalizzare l’attenzione sulla vigorosa plasticità e sulla intrinseca espressività dei nudi in movimento, evocando ricordi

rinascimentali come la Battaglia dei Nudi del Pollaiolo, insieme a suggestioni contemporanee. Tra gli scultori moderni che esercitarono una tangibile influenza su Lanfranchi annoveriamo Arturo Martini, Auguste Rodin, Henry Moore e, più di tutti, Marino Marini. Il suo interesse per questi scultori è confermato dalle monografie e dai cataloghi custoditi nel suo laboratorio ad Omegna, in Via Fratelli Di Dio. Il laboratorio custodisce anche le fotografie di due studi in terracotta, relativi ai rilievi in bronzo per Renato Bialetti.

I bronzi vennero fusi a cera persa presso la fonderia F.lli Carnelli di Milano, come attesta il bollo incusso nel secondo rilievo. Dalla medesima fonderia uscirono opere illustri, come la scultura in bronzo di Odoardo Tabacchi (1867) con Ugo Foscolo che consola l’Italia; le sculture in bronzo di Attilio Strada (1922) per il Monumento ai Caduti di Fenegrò; la statua in bronzo di Francesco Confalonieri (1924) per il Monumento ai Caduti di San Cipriano Po e la tomba Enghelmayer di Ettore Archinti (1929) per il Cimitero Maggiore di Lodi.

 

I due rilievi di Annibale Lanfranchi hanno trovato un’adeguata collocazione nell’ex ferriera Cobianchi, fondata nel 1857 da Vittorio Cobianchi. La storica industria metallurgica vanta già un solido legame con l’arte italiana, poiché fornì il metallo necessario alla ricostruzione del campanile di San Marco a Venezia, dopo il crollo del 1902.”

Le strutture della fonderia Cobianchi sono state oggi convertite nel “Forum”, una delle strutture del Parco della Fantasia Gianni Rodari di Omegna, in un progetto di archeologia industriale voluto dalla Pubblica Amministrazione locale nel 1996 e realizzata attraverso dei fondi europei.

Una vecchia fabbrica è oggi un centro culturale per proposte didattiche, convegni, esposizioni e incontri volte a conservare e tramandare il genius loci.

In un gioco di rimandi e voli pindarici tra prodotti industriali locali esposti nelle sale interne, mostre d’arte e laboratori rodariani per gli studenti in gita, in queste strutture si vive la brillante creatività cusiana. Ed anche in questo caso risuona in modo naturale un’evidente eco tra eccellenze culturali nate sul fervido Lago d’Orta: il messaggio di pace modellato dal Lanfranchi si ritrova nelle Favole al telefono dell’omegnese Gianni Rodari con il bellissimo racconto “La guerra delle Campane”, nel quale campane e cannoni si scambiano i ruoli per fare “scoppiare la pace”.

 

LA GUERRA DELLE CAMPANE

C’era una volta una guerra, una grande e terribile guerra, che faceva morire molti soldati da una parte e dall’altra. Noi stavamo di qua e i nostri nemici stavano di là, e ci sparavano addosso giorno e notte, ma la guerra era tanto lunga che a un certo punto ci venne a mancare il bronzo per i cannoni, non avevamo più ferro per le baionette, eccetera.

Il nostro comandante, lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone, ordinò di tirar giù tutte le campane dai campanili e di fonderle tutte insieme per fabbricare un grossissimo cannone: uno solo, ma grosso abbastanza da vincere tutta la guerra con un sol colpo.

A sollevare quel cannone ci vollero centomila grù; per trasportarlo al fronte ci vollero novantasette treni. Lo Stragenerale si fregava le mani per la contentezza e diceva: “Quando il mio cannone sparerà i nemici scapperanno fin sulla luna”.

Ecco il gran momento. Il cannonissimo era puntato sui nemici. Noi ci eravamo riempiti le orecchie di ovatta, perchè il frastuono poteva romperci i timpani e la tromba di Eustachio.

Lo Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone ordinò: “Fuoco!” Un artigliere premette un pulsante. E d’improvviso, da un capo all’altro del fronte, si udì un gigantesco scampanio: Din! Don! Dan!

Noi ci levammo l’ovatta dalle orecchie per sentir meglio. “Din! Don! Dan!, tuonava il cannonissimo. E centomila echi ripetevano per monti e per valli: “Din! Don! Dan! “Fuoco!” gridò lo Stragenerale per la seconda volta: “Fuoco, perbacco!”

L’artigliere premette nuovamente il pulsante e di nuovo un festoso concerto di campane si diffuse di trincea in tricea. Pareva che suonassero insieme tutte le campane della nostro patria. Lo Stragenerale si strappava i capelli per la rabbia e continuò a strapparseli fin che gliene rimase uno solo.

Poi ci fu un momento di silenzio. Ed ecco che dall’altra parte del fronte, come per un segnale, rispose un allegro, assordante: Din! Don! Dan!

Perchè dovete sapere che anche il comandate dei nemici, il Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestrafrakasson, aveva avuto l’idea di fabbricare un connonissimo con le campane del suo paese! Din! Dan! Tuonava adesso il nostro cannone.

Don! Rispondeva quello dei nemici. E i soldati dei due eserciti balzavano dalle trincee, si correvano incontro, ballavano e gridavano: “Le campane, le campane! E’ festa! E’ scoppiata la pace!”.

Lo Stragenerale e il Mortesciallo salirono sulle loro automobili e corsero lontano, e consumarono tutta la benzina, ma il suono delle campane li inseguiva ancora.

 

Il Presidente Fondazione P.Ar.C.O.

Tarcisio Ruschetti

 

 

Fonti utilizzate per ampi tratti:
- perizia asseverata del Prof. Marco Di Mauro coinvolto dall’associazione “I Lamberti pro Forum e Parco della Fantasia”, 2021
- catalogo “L’anima delle forme” a cura di Giulio Martinoli e Roberto Ripamonti, 2022
- Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi ragazzi, 1962